Google aggiorna le Quality Rater Guidelines: l’AI generativa potrebbe far scattare il giudizio di qualità più basso?

Nel gennaio 2025 Google ha aggiornato le Search Quality Rater Guidelines, il documento di riferimento utilizzato dai suoi valutatori di qualità (i cosiddetti quality raters) per esaminare manualmente le pagine web e fornire feedback utili a migliorare gli algoritmi.

Tra le novità più rilevanti di questa revisione spicca un messaggio inequivocabile: i contenuti generati da intelligenza artificiale, se poco originali o non debitamente curati, possono ricevere una valutazione più bassa.

La conferma è arrivata direttamente da John Mueller, Search Analyst e volto noto del team Search Relations, durante l’evento Search Central Live a Madrid.

Vediamo nel dettaglio cosa cambia, perché è importante e come impatta sulla produzione di contenuti e sulla strategia SEO.

L’AI generativa entra ufficialmente nelle linee guida

Per la prima volta, le Quality Rater Guidelines includono una definizione formale di AI generativa. La troviamo nella sezione 2.1:

“L’AI generativa è un tipo di modello di machine learning in grado di creare nuovi contenuti (testo, immagini, musica, codice) a partire dagli input ricevuti. Può essere uno strumento utile nella creazione di contenuti, ma – come ogni strumento – può anche essere usato in modo improprio.”

Questa definizione non demonizza la tecnologia, ma ne riconosce la natura ambivalente: tutto dipende dal contesto, dall’intenzione e dalla qualità finale del contenuto.

L’attenzione si sposta dalla modalità di generazione alla qualità percepita

Il punto centrale dell’aggiornamento sta nella nuova sezione 4.6.6, che fornisce una linea guida netta per assegnare la valutazione più bassa:

“La valutazione più bassa (‘Lowest’) si applica se tutto o quasi tutto il contenuto principale (testi, immagini, video, audio) è copiato, parafrasato, incorporato, generato automaticamente o tramite AI, o ripubblicato da altre fonti con scarso sforzo, scarsa originalità e nessun valore aggiunto per i visitatori. Questo vale anche se viene attribuita la fonte.”

In altre parole, non è la presenza dell’AI in sé a penalizzare, ma la mancanza di un intervento che aggiunga valore, contesto e qualità.

La lotta ai contenuti scalabili, parafrasati e impersonali

Nel nuovo schema di valutazione, Google approfondisce e ristruttura tutta la sezione relativa al “contenuto di bassa qualità”. Le definizioni di spam sono state ampliate e articolate, con particolare attenzione a tre fenomeni:

Abuso di domini scaduti: quando un dominio abbandonato viene riattivato solo per sfruttare la sua autorevolezza pregressa, ma senza fornire valore reale.

Abuso della reputazione del sito: quando contenuti di terze parti vengono pubblicati su domini affidabili per scalare le SERP senza meriti propri.

Contenuti scalabili a basso sforzo: quando viene prodotta una quantità elevata di contenuti (spesso con AI) senza originalità, revisione o cura editoriale.

Particolarmente interessante è l’enfasi sui contenuti parafrasati con strumenti automatici, che secondo le nuove linee guida tendono a:

  • contenere solo informazioni generiche o già note,
  • ricalcare contenuti da fonti autorevoli senza aggiunte,
  • usare formule tipiche delle AI (“As an AI language model…”).

Questo tipo di contenuto, se riconosciuto, non viene considerato originale né meritevole di un posizionamento organico di valore.

Low vs. Lowest: la differenza sta nell’intenzionalità editoriale

Google introduce anche una distinzione esplicita tra contenuti “Low” e contenuti “Lowest”.

Valutazione Low: concessa quando il contenuto mostra almeno un minimo sforzo di adattamento, commento o contestualizzazione.

Valutazione Lowest: assegnata quando il contenuto è per lo più una riproposizione passiva di materiali altrui, senza contributo originale.

Esempi forniti includono:

  • post social ripubblicati senza commento,
  • pagine che incorporano video o immagini senza curatela,
  • elenchi di “migliori prodotti” costruiti solo da recensioni altrui.

La chiave è sempre la stessa: il contenuto ha valore reale per l’utente? Offre qualcosa che altrove non c’è?

Nuove sezioni su filler content, layout e affermazioni esagerate

Google aggiorna anche le sezioni su elementi più sottili ma altrettanto rilevanti per l’esperienza utente:

Filler content: contenuti riempitivi, introduttivi o ridondanti che “gonfiano” la pagina senza aiutare l’utente. Anche se non dannosi, possono abbassare la qualità percepita e meritare una valutazione bassa.

Layout fuorviante: pagine in cui la struttura ostacola l’accesso all’informazione utile. Un esempio classico: troppe pubblicità o blocchi generici prima del contenuto vero.

Affermazioni esagerate: viene introdotta una sezione ad hoc (5.6) che penalizza descrizioni fuorvianti su chi ha scritto il contenuto. Frasi come “sono un esperto” o “ho anni di esperienza nel settore” devono essere supportate da prove concrete e verificabili (E-E-A-T). In caso contrario, valgono come segnali di scarsa qualità.

Altre novità minori, ma significative

L’aggiornamento include anche alcuni dettagli aggiuntivi, che confermano l’intento generale di Google di alzare l’asticella qualitativa:

Le pagine costruite “solo per trarre beneficio economico” senza alcuna utilità per l’utente ricevono ora esplicitamente la valutazione Lowest.

I valutatori non possono più usare ad blocker: devono valutare la pagina così com’è realmente percepita da un utente comune.

Le ricette con troppa pubblicità o contenuti non pertinenti vengono classificate con una nuova etichetta specifica: “Low Recipe 3”.

Cosa significa tutto questo per la SEO?

L’aggiornamento delle Search Quality Rater Guidelines non modifica direttamente l’algoritmo di ranking, ma riflette dove sta andando Google.

Le linee guida vengono usate per allenare i sistemi automatizzati e indicano in modo molto chiaro quale tipo di contenuto Google considera degno di visibilità organica.

Per chi lavora nella SEO e nei contenuti, il messaggio è inequivocabile: non basta pubblicare, bisogna curare.

L’uso di AI non è vietato, ma va governato. L’intelligenza artificiale può essere un ottimo assistente nella produzione, ma deve inserirsi in un processo editoriale che coinvolga competenza, supervisione e una visione editoriale orientata all’utente.

Chi pubblica contenuti impersonali, copiati, parafrasati o gonfiati di parole inutili, non sta solo rischiando un calo di performance: sta comunicando di non avere un’identità reale, né qualcosa da dire.

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